18-19: Last but not least

Gli ultimi due giorni newyorkesi sono come i precedenti: caotici, frenetici e caldi. Già, altro che deserto, qui il caldo si fa più che sentire ed ovunque si sentono gli odori emanati dalle immondizie lasciate per la strada (avete presente Napoli? Beh, NY a prima vista non sembrerebbe molto diversa, se non per il fatto che le immondizie hanno un certo giro, anche se non so bene quale, fattostà che ce ne sono parecchie per quasi tutte le strade, midtown compresa). Cominciamo la giornata facendo qualche foto davanti a Tiffany, per le velleità stilistiche della mia dolce ma maniaca mogliettina, con tanto di caffè e pasticcino ;-). Dopodichè visita all’NBA store, pieno d’ogni cosa ed una capatina a Time Square, una Piccadilly Circus allargata allo spasimo ed oltremodo caotica. Da li visitiamo il mitico B&H Store, un negozio di elettronica pazzesco, pieno di qualsiasi cosa e specializzato in fotografia, video e registrazione. E’ un negozio immenso, dove lavorano praticamente solo ebrei, da quelli più normali distinguibili solo dalla Kippà (quel berrettino utilizzato dagli uomini) a quelli ortodossi con tanto di barboni e lunghi riccioli ai lati del volto. La sezione di fotografia è spaventosa solo che per qualsiasi cosa bisogna parlare con un commesso e quindi non c’è molto da guardare liberamente. Ad ogni modo, qualsiasi acquisto che fai la procedura è alquanto atipica: prima un addetto ti fa l’ordine, poi scendi alle casse al piano inferiore e quindi passi al ritiro dell’oggetto che viene mandato giù tramite un rullo che passa tutto il negozio.

Giunge quindi l’ora di trasferirsi verso il New Jersey: andiamo a Port Authoritye prendiamo i biglietti per il Giants Stadium dove arriviamo in una mezzoretta. Lo spettacolo che ci accoglie è incredibile: nell’enorme parcheggio che circonda lo stadio non ci sono, come da noi, venditori ambulanti di magliette, cibo e bevande; quello che vediamo è un immenso accampamento di americani che si preparano al concerto facendo il barbecue sotto dei gazebo, giocando ad una sorta di bocce, bevendo e scherzando seduti su poltrone e poltroncine tolte da quei loro macchinoni. Sembra in tutto e per tutto una spiaggia (solo con l’asfalto al posto della sabbia). Il concerto, previsto per le 7.30-8.00 comincia in realtà alle 9.30, visto che lo stadio comincia a riempirsi solo dopo le nove. Per quanto riguarda il contenuto ne parlerò più diffusamente su TheWallOfSound, per ora basti sapere che per quanto la scaletta sia stata pressochè fantastica, il concerto di Milano è stato, per quanto mi riguarda, migliore. Causa del pubblico, che nonostante il numero impressionante, si dimostra piuttosto freddino per scaldarsi solo sugli encore. Ad ogni modo è sempre migliore di qualsiasi altro concerto e, soddisfatti, torniamo in albergo verso le due di notte. L’ultimo giorno cerchiamo di spenderlo nel visitare quante più cose possibile ma l’impresa è proibitiva e ci dobbiamo limitare a visitare il Financial District e vedere il sito del Word Trade Center (che in realtà non si può vedere perchè stanno costruendo, però è visitabile l’adiacente St. Paul, dove si radunarono i primi sopravvissuti e dove furono appese le foto dei dispersi. Il posto è decisamente commovente, pieno di testimonianze e ricordi delle vittime. Poi abbiamo concluso mangiando una Clam Chowder da Ed’s e la migliore cheesecake di New York da Eileen’s Chesecake proprio li davanti. Quindi un salto veloce veloce nell’east side giusto per vedere la vecchia sede del Fillmore East e le case che stanno sulla copertina di Phisical Grapphity e poi via, albergo, metrò, air train e diritti al JFK, checkin self service (e si, ormai sappiamo fare anche questo) e poi ore e ore di viaggio verso il ritorno.

16-17: New York New York

Come previsto l’ora era troppo tarda per riuscire ad andare ad Ellis Island e cosi’ abbiamo un po’ vagato senza meta lungo la punta di Manhattan, i moli ed il vecchio quartiere del porto che si affaccia sul ponte di Brooklyn. Ho cercato invano la via della famosa foto di copertina di c’era una volta in America, ma o non esiste o e’ decisamente cambiata (strada allargata e palazzi piu’ distanti tra loro). Poi siamo andati a Central Park, un vero luogo di villeggiatura in centro citta’ con qualsiasi tipo di attivita’ sportiva disponibile e praticabile (baseball, pallavolo, roccia,…prendere il sole…). E’ immenso e pieno di gente, compresi musicisti, pittori e fotografi. E mandrie di scoiattoli… Poi siamo andati a visitare il Metropolitan Museum dove c’era un po’ di tutto ma niente di sensazionale. C’era pero’ una magnifica mostra di fotografia dove ho potuto ammirare alcuni lavori di Henry Cart Bresson: veramente fantastici! Poi, all’uscita abbiamo incontrato Eveline, una ex-compagna di universita’ della Lisa che sta facendo il dottorato qui e che faceva uno stage presso il metropolitan. Siamo stati a cena in un ristorante greco-turco (decisamente non male, avete presente il Kebab? Dategli una dignita’, una cottura piu’ raffinata ed una serie di accompagnamenti di livello ed avrete un ottimo piatto) e poi siamo stati a prendere il caffe’ a casa sua. Gia’, abbiamo visto una casa dell’Upper East Side di Manhattan (la casa ovviamente e’ del suo compagno, guardacaso un consulente, che purtroppo era via per lavoro). La casa di per se’ e’ abbastanza normale, complice probabilmente il fatto di essere abitata da italiani, ma la cosa pazzesca e’ il palazzo. In pratica, tra portiere e corridoi con la moquette, pare di essere in albergo.

Il giorno dopo ci siamo dedicati alla Liberty Island e ad Ellis Island. Mentre la prima e’ carina ma non molto di piu’ il secondo luogo e’ decisamente affascinante, un museo maestoso dove i muri stessi trasudano storia. Con l’audioguida abbiamo potuto ascoltare anche numerosi ricordi della gente che li vi e’ passata (12 milioni di immigrati tra il 1880 ed il 1940): decisamente toccanti. La visita ci ha impegnato piu’ di mezza giornata ma ne e’ decisamente valsa la pena. Nel pomeriggio ci siamo divisi: shopping per la Lisa…. e Natural History Museum per me: non e’ il massimo (ci sono i diorami di Ross!!) pero’ la parte dei dinosauri e’ veramente fantastica ed immensa. Poi ci siamo ritrovati e siamo andati a mangiare in un locale fantastico: Ed’s Lobster Bar. Come si intende dal nome abbiamo mangiato aragosta. Non ci sono parole: delicata, burrosa, decisamente lussuriosa (Claudio, mi sa che si deve provare anche da noi! Diamo un po’ di pace agli astici!). Poi, per concludere in bellezza, Empire State Building in notturna: ambiente lunare e vista senza paragoni.

Ora ci attende il boss….e, si, una “colazione da Tiffany”….

10-11-12: On the run

Dopo qualche problemino a raccattare un pc per connettersi eccoci di nuovo qui. Dove siamo rimasti? Texas! Il texas, per lo meno la parte che abbiamo attraversato (ovvero quella striscia di terra che sta sopra), e’ un’immensa pianura piatta e praticamente senza alberi e quelli che ci sono sono completamente piegati dal vento che tira. Qui dicono che non e’ sempre cosi’: ci sono uno o due giorni all’anno in cui non tira vento e tutto tace e tranquillo. Comunque quello che abbiamo potuto vedere sono state distese di erba, mucche al pascolo e pale eoliche (almeno lo sfruttano!). Abbiamo pranzato al Midpoint Cafe’ (il punto centrale della Route66) e poi abbiamo attraversato Armarillo, l’unica vera citta’ Texana sul percorso. In generale non molto. Di tanto in tanto spuntano qui e la’ alcune pompe per l’estrazione del petrolio, come ne abbiamo gia’ visto in Utah e come ne vedremo piu’ avanti in Oklahoma: sono delle piccole pompe disseminate un po’ ovunque (prati, fiumi, deserti…) diverse da quel che ci si puo’ immaginare. Pensate che alcune stanno nel giardino di qualche casa! Vicino ad Amarillo ci siamo fermati al Cadillac Ranch, un posto stranissimo dove in mezzo ad un campo sono piantate una decina di Cadillac che i passanti colorano con le bombolette spray. La Lisa ha lasciato il segno. Ripeto, la Lisa ha lasciato il segno. (la teppista)

Passato il Texas ci siamo gettati sull’Oklahoma: il panorama e’ piuttosto diverso, la pianura cede spazio alle colline e di alberi ce ne sono parecchi. Continuano ad esserci mucche, sempre di piu’ e di tutti i tipi (compresi i longhorn, delle mucche con delle corna il doppio del normale, che pare siano state importate dagli spagnoli). Ad Oklahoma City abbiamo visitato il museo nazionale dei Cowboy: decisamente carino, piuttosto grande e pieno di reperti (e pure una cittadina western ricostruita). C’e’ anche una sezione dedicata al cinema western dove ho notato con rammarrico la mancanza di qualsiasi accenno agli spaghetti-wester e a Sergio Leone, se non per una piccola citazione nel curriculum di Clint Eastwood (“la popolarita’ gli e’ arrivata dopo aver fatto alcuni film italian-made“). Anche nella monument valley non c’era accenno a C’era una volta il west, mentre erano presenti locandine di Per un pugno di dollari. Sempre ad Oklahoma City ci siamo fermati a mangiare in un posto pazzesco, un localino di 30 e passa anni pieno di cimeli di ogni tipo. Abbiamo anche firmato un mattone, cosi’ chi passera’ di li dopo di noi ci potra’ trovare!

Passato l’Oklahoma siamo entrati in Missouri, passando per il Kansas (anche se solo per 13 miglia): il clima e’ cambiato, fa caldo ma e’ molto piu’ umido e tutto e’ coperto da una fitta vegetazione. Permangono i pascoli con le mucche, in pratica l’unico campo coltivato l’abbiamo trovato in Kansas (granoturco). Qui in Missouri abbiamo avuto qualche problemino con la strada: sembra che sia veramente poco segnalata rispetto agli altri stati, specialmente se percorsa al contrario come facciamo noi! Comunque ormai siamo agli sgoccioli, siamo a meno di 100 miglia da St. Louis e domani sera dovremmo arrivare gia’ a portata di Chicago.

Ad ogni modo stiamo bene, mangiamo un po’ strano (stamattina mi sono fatto per colazione-pranzo una omelette con peperoncini e chili…), Lisa e’ coperta di chiazze rosse (sembra che sia allergica a qualcosa, stiamo facendo degli esperimenti per capire a cosa), dormiamo nei piu’ malfamati motel della Route 😉 ed ultimamente facciamo parecchia strada (dopo le lunghe visite ai parchi dell’Arizona)

8-9: New Mexico

Ad Holbrock abbiamo cenato in una vecchia fermata per le diligenze che viaggiavano verso l’ovest, un locale fantastico con tanto di reperti, storie di fuorilegge e di sceriffi e… bistecche. Il giorno dopo abbiamo visitato la Pietrified Forest, una zona desertica dov’e’ pieno di tronchi d’albero completamente pietrificati, ed il painted desert (che non ci e’ giunto troppo nuovo viste le innumerevoli sfumature che abbiamo potuto ammirare nel percorso). Dopodiche’ siamo usciti dalla bellissima Arizona, la Lisa ha investito un cane della prateria e ci siamo fermati a mangiare messicano in New Mexico (Lisa continua a dirmi di cancellare e scrivere “un animaletto” ma la verita’ e’ dura. Era un bestia abbastanza grandicella che nulla faceva se non guardare la strada. Evidentemente la vicinanza al bordo e’ stata troppo cruenta…specie se incroci delle italiane che tendono il bordo destro…). Abbiamo attraversato Gallup (niente di speciale) e Grant (piuttosto carina) e ci siamo fermati in territorio Zuni (un’altra etnia dei pueblo) presso un hotel-casino (ma non ho giocato, dopo Las Vegas era abbastanza deprimente). Oggi invece siamo stati a visitare la citta’ di Acoma (o Sky City), una citta’ Zuni posta in cima ad una mesa (un’altipiano roccioso). Si tratta della citta’ abitata continuativamente piu’ antica degli USA. Ci vivono una trentina di persone, senza elettricita’ ed acqua corrente in un luogo piuttosto affascinante a dire il vero (lo abbiamo visitato con la guida, ovvero nell’unico modo possibile). Lasciata Acoma siamo stati a Albuquerque, la capitale del New Mexico, dove abbiamo visitato la Old Town: carina, molto turistica ma gradevole con un alternanza di costruzioni in legno ed altre nello stile Adobe (muratura ricoperta di fango). Dopodiche’ abbiamo percorso il Sentiero del Turchese, una strada che collega Albuquerque a Santa Fe dove una volta si trovavano le miniere di turchese (da cui il nome). Vi si trovano un paio di cittadine rimaste pressoche’ intatte (ovvero c’e’ quasi il nulla) tra cui Cerillos e Madrid.

Santa Fe invece e’ un paese molto bello da visitare, ricco di vita e stipato di turisti che osservano la vecchia downtown completamente in stile adobe e spendono nei tanti negozi (piuttosto cari ma sicuramente molto piu’ raffinati di quanto non abbiamo visto fino ad ora). Ora siamo tornati sulla Route, e piu’ precisamente a Santa Rosa. Domani entreremo nel Texas e diremo definitivamente addio al West. Nonostante quanto ne possa dire la Lisa (la tipica frase riguardante il panorama e’ “Non c’e’ un bel c…o di nulla”) si tratta di un posto meraviglioso e ricco di ogni sorta di panorami e ambienti. Probabilmente passeranno moolti anni prima di poterlo rivedere (sempre che si torni da queste parti) e credo che mi manchera’.

5-6-7: Arizona dreams

Ci eravamo lasciati a Seligman, patria della Historical Route66. Da li abbiamo proseguito per Williams, da dove l’altra volta siamo andati al Gran Canyon, e poi per Flagstaff. Entrambe sono cittadine che hanno conservato lungo la strada principale gran parte dello spirito della Route. A partire dai motel coloratissimi e molto oldies fino ai bar tutti hanno cartelli, slogan e immagini che ricordano il passato nella Route66. Williams e’ un paesino piuttosto piccolo mentre Flagstaff e’ una vera e propria citta’, anche se non grandissima, ed e’ sede dell’universita’ del Nord Arizona. Qui ho sfruttato il cambio favorevole ed i soldi vinti a Las Vegas per comprarmi un obbiettivo: il Canon EF-S 55-250 IS. Si, quello che Gio’ definirebbe plasticoso, ma che quanto a qualita’/prezzo non ha paragoni. 🙂 Ora sono pronto ad affrontare i luoghi mitici che ci attendono.

Da Flagstaff prendiamo la 89 verso nord, ci fermiamo ad osservare delle rovine dei pueblo (un popolo pre-colombiano che abitava il south-west prima ancora degli indiani), e continuiamo fino a Kayenta, il punto di partenza per la monument valley. Il panorama e’ gia’ pazzesco, continuiamo a passare formazioni rocciose di ogni tipo e colore. Da Kayenta poi si cominciano a vedere le grosse formazioni rossicce tipiche della monument. A Kayenta pero’ abbiamo una brutta sorpresa: al nostro albergo ci dicono che la nostra prenotazione e’ stata cancellata e che la nostra camera e’ gia’ stata rivenduta. Visto che tutti gli alberghi della citta’ sono pieni (come previsto) e che altre citta’ non ce ne sono nel giro di ore, decidiamo comunque di andare alla Monument Valley (essendo le cinque di pomeriggio) e contattare poi il tipo dell’albergo che tentera’ di trovarci una camera. Ci dirigiamo quindi verso la nostra meta (ad una ventina di miglia di distanza). C’e’ poco da dire: arrivare alla Monument Valley ascoltando C’era una volta il west di Morricone… non ha prezzo! Il paesaggio e’ splendido, la luce della sera meravigliosa… tutto e’ fantastico. Non entriamo nella valle ma ci dirigiamo verso il Goulding’s Lodge (albergo/trading post vicinissimo all’entrata del parco) e li prendiamo posto per un tour molto particolare: infatti il 18 luglio c’e’ la luna piena e quindi c’e’ un tour notturno (con partenza al tramonto) per cogliere il momento propizio. Il tour si dimostra imbattibile, entriamo nella valle al tramonto con una luce meravigliosa, giriamo i principali punti panoramici e poi la nostra guida ci porta a veder sorgere la luna da un punto non raggiungibile se non con le guide (e anche con loro abbiamo rischiato di incagliarci nel fondo sabbioso). Indescrivibile. A fine tour poi la buona notizia: a Kayenta ci hanno trovato una camera e quindi torniamo soddisfatti. Il giorno dopo torniamo nella valle per girare i posti che non abbiamo potuto vedere la sera prima e poi ci dirigiamo a nord, verso Mexican hat, nello Utah (chiamato cosi’ per una roccia a forma di messicano con il tipico sombrero). Su questa strada scorgiamo il panorama classico della monument valley, quello, per intenderci, da cartolina. A questo punto viriamo verso est dirigendoci verso il Colorado da li infatti si arriva in un punto molto particolare: si tratta di Four Corners, l’unico punto al mondo dove quattro stati si incrociano perpendicolarmente. Il giorno volge al termine e puntiamo quindi alla meta serale: Chinle, un paese alentrata del Canyon de Chelly (che si pronuncia Shay… vallo a capire…). La strada per arrivarci ci mostra come la monument valley non sia un punto isolato (geologicamente parlando). Tutta la zona ha una conformazione simile, solo che in quel punto si hanno delle condizioni particolari e delle formazioni molto vicine tra loro pur rimanendo separate.

Oggi siamo quindi andati a visitare il Canyon de Chelly, un luogo meraviglioso, anch’esso dentro la Nazione Navaho (un vero e proprio stato, immenso, a cavallo tra Arizona, New Mexico, Utha e Colorado in cui vivono i Navaho in maniera piuttosto indipendente, hanno perfino un fuso orario diverso!!!). Il canyon e’ un posto sacro per i Navaho ed anch’esso era in principio abitato dai pueblo che hanno lasciato tra le rocce, i loro insediamenti (essendo agricoltori gli insediamenti sono fissi, a differenza di quelli indiani). Dopo il Canyon siamo tornati sulla Route 66 (molto piu’ a sud) tornando quasi fino a Flagstaff per poter vedere un’altro posto molto particolare: il Meteor Crater, il piu’ grande cratere da meteorite sulla terra nonche’ luogo di test per le missioni Apollo. A questo punto siamo di nuovo sulla strada, ci fermiamo a Winslow ( quella della canzone degli Eagles, con il verso “Sitting on the corner, at Winslow, Arizona”) e quindi a Holbrock dove soggiorniamo in un’altro motel mooolto route66!

4 – On the road

Dopo i fasti di Las Vegas ci dirigiamo a prendere l’auto. Il nostro taxi pero’ si dimostra poco accorto e dopo averci ripetuto che non ci sono auto noleggi sullo strip accondiscende a fatica a portarci all’Imperial Palace, dove sapevamo esserci un concessionario Hertz. Non si trattava del nostro (poi abbiamo scoperto esserci concessionari Hertz in quasi tutti i casino’ dello strip..) ma ci danno comunque l’auto. Ci dicono che quella che volevamo non ce l’anno e che ci daranno una macchina migliore. Ci troviamo invece davanti ad una toyota corolla nettamente inferiore alla alveo che avevamo nel nostro precedente viaggio: niente aux, niente chiusura centralizzata e niente finistrini elettrici… ad ogni modo ci dirigiamo verso la prima meta del nostro viaggio: uno dei tanti outlet di las vegas. Li si compie il miracolo: io acquisto due jeans (levis a 60$!) ed un paio di scarpe e la lisa invece…niente! Finito lo shopping si parte e ripercorriamo al contrario una strada fatta l’altra volta: da Las Vegas a Kingman. Da li prendiamo finalmente la route 66 e siamo sulla strada. Pero’ ormai e’ sera e ci fermiamo nel piu’ tipico dei luoghi legati a questa strada: Seligman, dove e’ nata l’associazione che ha ridato smalto alla Route66. Ceniamo al mitico Roadkill dove per poco una porzione di Buffalo Wings non mi uccide dal piccante (e questo la dice lunga) e poi troviamo un motel proprio qui, nel cuore della route66 da cui ora sto scrivendo (dal laptop del figlio dei proprietari…gentilmente prestatoci lasciando il proprietario ignaro del tutto)…

2-3 : Viva Las Vegas

Dopo la notte passata ad Atlanta siamo tornati in aereoporto e abbiamo preso il volo delle 9.50 del mattino per Las Vegas. Questa volta non abbiamo avuto nessun problema, l’aereo era piu’ piccolo, i posti molto piu’ stretti ma davanti ad ogni posto c’era un minischermo da cui si poteva guardare la tv, ascoltare musica o giocare ad una specie di trivial contro tutti quelli presenti sull’aereo (ovviamente si poteva anche guardare film o giocare a qualcosaltro ma a pagamento). Sono perfino riuscito a vincere un turno di trivial ed entrare nella top ten del viaggio! Comunque… l’arrivo a Las Vegas e’ stato splendido, dall’alto si vede tutto il deserto attorno e poi d’improvviso una citta’ piena di palazzi, ville, campi da golf e verde.. pazzesco. All’arrivo (verso mezzogiorno) abbiamo mangiato all’aereoporto in una tavola calda messicana-texana e poi ci siamo diretti con lo shuttle fino al nostro albergo: il New York New York. L’albergo e’ uno dei piu’ belli di quelli sullo strip: all’interno ha vari quartieri di new york riproposti, da Time Square con i maxischermi al village coi suoi localini a brooklyn. Tutto e’ in tema ma non e’ troppo sofisticato come puo’ avvenire in altri casino’ piu’ “pregiati”. Il pomeriggio lo abbiamo dedicato al giro completo dello strip (completo per me, la lisa si e’ fermata a meta’ ed e’ tornata in tram). Sicuramente i casino’ sono da vedere, ognuno con la sua particolarita’. I migliori sono senza dubbio il Paris, il Venice, il Caesar (al suo interno ci sono anche le Pussycat Dolls che servono ai tavoli in giarrettiera e ballano dentro delle gabbie….) ed il Treasure Island. Anche il nuovo Planet Holliwood non e’ male, specialmente la parte dei negozi, mentre il casino’ e’ normale. Gli altri casino’ sono piuttosto normali, tolto il Bellagio che e’ veramente elegante ma nulla piu’ gli altri si scopiazzano nel lusso senza avere una precisa identita’. Il giro si e’ dimostrato piuttosto faticoso dato che appena arrivati in camera ci siamo addormentati di botto risvegliandoci il giorno dopo. Sveglia tra l’altro all’alba delle 5 visto che alle 5.50 ci aspettava la navetta per andare a volare sul gran canyon. Il volo e’ stato molto bello ed emozionante, si e’ partiti da Boulder City (a sud di Las Vegas) e abbiamo sorvolato il lago Mead, la diga di Hoover ed la parte ovest del canyon. Spettacolare. Nel pomeriggio ci siamo dedicati alla vecchia Las Vegas, quella downtown, con i primi casino’, tra cui il Golden Gate che ha compiuto da poco i 100 anni di attivita’. Per il resto abbiamo giocato al casino’, principalmente alla roulette (visto che al black jack sono riuscito a perdere 50$ su 80 che ho giocato…) salvo la lisa che si e’ applicata un po’ alle slot prima di vederne l’inutilita’. Ad ogni modo le due giornate sono andate piu’ che bene e chiudiamo in attivo di tre cifre l’esperienza!

1 – Atlanta (?!?!) – why are we here?

Dopo una nottata passata a spegnere innumerevoli sveglie disperse per tutta la casa dai nostri amici bontemponi (anche se devo ammettere che quella dentro all’aspirapolvere era geniale…) e preparato le ultime cose siamo partiti alla volta dell’aereoporto. Tutto va per il meglio, niente code a mestre, non troppo traffico, arrivo in aereoporto in giusto anticipo…. ma il nostro aereo ha ben due ore di ritardo causa uragano ad Atlanta. Dopo varie telefonate con il fido Emanuele (che vuole anche parlare con la signorina del check-in) veniamo imbarcati sapendo pero’ che ad Atlanta avremmo dovuto trovare qualcosa di alternativo (in realta’ e’ la delta che ce lo deve trovare, ma fa piu’ figo dire cosi’). Il volo procede lungo ma non eccessivamente stressante. Come sempre infatti il primo volo si riesce a sopportare piuttosto agevolmente. Guardiamo tre film uno piu’ stupido dell’altro (uno con Owen Wilson che fa da guardia del corpo a dei ragazzini, poi the Spiderwick chronicles ed infine si tocca il fondo con l’isola di Nim), leggiamo qualcosa ed osserviamo il finestrino che da su una distesa di nuvole. L’arrivo ad Atlanta sarebbe anche prima del previsto (alle 7.50 con la coincidenza per Las Vegas alle 8.40)..tuttavia un’aereo blocca il nostro gateway e veniamo dirottati su un’altro sbarcando alle 8.30. A quel punto non c’e’ piu’ nulla da fare: immigrazione, ritiro bagagli e poi in fila per il re-booking verso un’altro volo. dopo 2 ore e mezza di fila arriviamo al banco dove ci dicono che non ci sono piu’ voli per la sera e che ci avrebbero imbarcato l’indomani. Poi ci danno un beauty-case ed un pacco di voucher per albergo-cena-colazione-pranzo-trasferimenti e ci dicono di trovarci lo shuttle per il Red Roof Inn. Dopo qualche difficolta’ iniziale e almeno 4-5 km di percorso labirintico all’interno dell’immenso aereoporto di Atlanta troviamo lo shuttle ed in breve arriviamo all’albergo. Un po’ di fuso si fa sentire e non possiamo neanche sfruttarlo per giocare al casino’… pero’ ora siamo di nuovo in piedi e diretti all’aereoporto nella speranza di arrivare prima o poi a destinazione…

In viaggio!

Si, lo so, dovrei prima dirvi com’e’ andato il matrimonio etc etc… pero’ non ho tempo e mi trovo gia’ negli USA, quindi per ora sappiate che e’ andato tutto alla grande, la giornata e’ stata splendida e tutto e’ andato per il meglio.

Pero’ ora bando alle ciance… i prossimi post saranno On the Road!

Può un nero diventare presidente degli USA?

L’America se n’è andata a letto con questa domanda dopo che Barack Obama ha vinto i caucus dell’Iowa. Strano paese gli stati uniti. Sono più di duecento milioni distribuiti in cinquanta stati, eppure tutti i giornali parlano dei risultati di questo piccolo stato contadino di appena tre milioni di abitanti come se fosse decisivo per le sorti del paese. Strano anche il sistema di voto, quasi bizzarro ma sicuramente affascinante: prima di votare si discute e si cerca di convincere gli indecisi ma anche gli avversari. Che questa sia la democrazia? Sempre opinabile dato che poi nella realtà non sono eletti i candidati ma bensì dei delegati che poi li sosterranno (se fossimo in italia sai che bei cambi di schieramento post elezioni??). Ad ogni modo torniamo alla domanda che dà il titolo al post: sono pronti gli americani ad eleggere un presidente nero? Per i giovani (i primi elettori del giovane senatore) parrebbe di si, ma l’america è grande e nel profondo sud il bianchismo è ancora ben radicato. Ma il dubbio è: se fosse realmente eletto a candidato democratico, TUTTI i democratici lo seguirebbero? Forse no. Eppure il progetto di Obama sembra innovativo, quasi kennediano:

“Il tempo del cambiamento è arrivato: sarò il presidente che riporterà a casa i soldati dall’Iraq, che garantirà la sanità a tutti gli americani e metterà fine ai regali fiscali alle grandi multinazionali”

Sinceramente la vedo dura. Andare contro le multinazionali in america è come andare contro i cattolici in Italia. E’ stato interessante stare a casa dei miei zii americani lo scorso anno: i miei cugini sono schierati interamente per Obama mentre mio zio, non dico che lo vede come il diavolo, però è parecchio contrario. Ma sostiene che gli americani potrebbero eleggere perfino un nero piuttosto di eleggere una donna. Strano paese gli stati uniti.